Violenza giustificata

Violenza giustificata   Non vi è giorno in cui le nostre menti non siano colpite da notizie riguardanti la violenza. La violenza sulle donne, in particolar modo. Non vi è giorno in cui questa...

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Violenza giustificata

 

Non vi è giorno in cui le nostre menti non siano colpite da notizie riguardanti la violenza. La violenza sulle donne, in particolar modo.

Non vi è giorno in cui questa violenza non si presenti come una chiara rivalsa di possesso.

Leggiamo le cronache agghiaccianti, orripilanti: pochissime volte esse sono raccontate dalle vittime.  Pensiamo a Lucia Annibali, che oggi è simbolo di quella battaglia che ogni giorno migliaia di donne combattono in silenzio, tra mille vergogne. Sì, perché la vergogna, prende il sopravvento sulla rabbia, sulla ragione. In questa Italia tradizionalista in cui la famiglia perfetta è l’insegna di un perbenismo che bisogna portare avanti ad ogni costo, il fingere diventa normalità per le donne. Sono le vittime stesse a nascondersi dietro false speranze. La speranza della fine, della normalità. Ma cosa è la normalità?

Intervistai anni fa una vittima di violenza domestica fuggita dal marito dopo che questi si era barricato in casa, armato, con l’ultimo dei loro quattro figli, allora treenne. Aveva fatto segnalazioni, denunce. Aveva paura di perdere tutto: la posizione agiata nella società cittadina, la casa, i figli. In famiglia, dove aveva cercato un primo sostegno, nessuno credeva. O meglio: tutti sapevano che il marito era violento, ma sostenevano che la donna deve essere “tenuta bada”. Nemmeno fosse una rara bestia malata da convertire. Società medievale? Contemporanea, della buona borghesia, con strane idee circa il rispetto. Uomini e donne allo stesso modo.

Il rispetto è quello che si deve a colei che dona la vita. Ed è lo stesso che deve essere dato a tutti gli esseri viventi. Vi è una strana concezione storica e culturale dietro la conquista della donna. Colei che dona la vita viene violentata, picchiata, insultata per colpire la sua stessa società. L’appartenenza territoriale e culturale. È un motivo ancestrale, che si protrae dai tempi di Romolo. E che prima ancora lo stesso Perseo aveva calpestato con Arianna. I miti hanno sempre un fondo di verità.

Il problema di fondo, oggi, è che purtroppo a queste violenze sembriamo esserci abituati. Le sentiamo, le leggiamo, speriamo che non ci tocchino. Ci colpiscono solo certe opinioni, ma non di esperti che possano aiutare a comprendere e a trovare soluzioni. No. Ci colpiscono i pensieri esposti dei cosiddetti “internettologi”, coloro che nella totale ignoranza postano, scrivono, commentano, suscitando un flusso “di incoscienza” generale che ha il risultato di dare loro maggior visibilità. Pare incredibile.

Colpisce che la nostra società, esempio le ultime cronache, divida la “violenza nazionale”, quella dei mariti, dei compagni e dei fidanzati, da quella “extracomunitaria” (in generale). Siamo razzisti pure nella violenza? Così pare per alcuni. Si trovano scusanti, motivazioni insensate per giustificare violenze e omicidi. Tutti cercano giustificazioni. Sempre. “Lo stupro è peggio solo all’inizio poi la donna si calma”. Questo il commento delle ultime ore da parte di un mediatore culturale che opera in una cooperativa e che dovrebbe avere il ruolo di mediare ed a cui deve essere sfuggito l’obiettivo del proprio ruolo. Ne deriva un turbinio di commenti, di insulti, di attacchi. Un linciaggio. Giustificato o ingiustificato?

Reclama la presidente Boldrini che afferma come “il dibattito (sugli immigrati) con la questione di Rimini abbia toccato il fondo”.  Come mai? Parliamo sempre di violenza (la vittima è stata stuprata) o parliamo di aggressione in questo caso? L’atteggiamento non è uguale. C’è da chiedersi perché. C’è forse da spaventarsi alle risposte?

 

Paola Tanzi

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